Un altro giro di valzer

Scrivo spesso di case. Lo faccio spesso perché amo le case alla follia. Le case raccontano chi eravamo, con tutti quegli oggetti antichi dei ricordi, raccontano chi siamo, con quello che abbiamo scelto di mettere nel frigo o nell'armadio e raccontano chi saremo o chi vorremmo essere, con i libri che popolano i nostri comodini e le nostre librerie.

Le case sono il luogo da cui parte tutto. Le nostre giornate, vite e storie iniziano sempre da una casa e in un'altra spesso finiscono. Nel mezzo poi ce ne sono moltissime altre in cui abbiamo transitato anche soltanto per un momento ma che hanno accolto le nostre emozioni e raccolto i nostri ricordi intrecciandoli a quelli di altri individui in dei giri di valzer che solo il destino riesce a condurre così bene. È proprio lì, dove si consumano quei valzer, il posto dove io amo di più tornare. Dopo una fredda giornata, dopo un lungo viaggio o dopo una serata di troppo vino e tante chiacchiere è sempre a casa mia che voglio tornare e quel rumore unico e familiare che fa la chiave quando gira nella toppa e l'odore inconfondibile che ti avvolge appena aperta la porta è quello che io chiamo conforto.


Nell'ultimo periodo per motivi noiosi da raccontare ho dovuto salutare due case a me molto care.
Una era la casa della Elena bambina. Era la casa della montagna e delle mie vacanze, la casa della mia infanzia spensierata quando correre nei prati, costruire dighe nei ruscelli e fare collanine di perline erano la mia ragione di vita. Era la casa dei nonni, della fontina, del tappeto di pelle di mucca, della salopette di camoscio e delle mani sempre sporche di mirtilli. Li dentro erano custoditi 38 anni di ricordi e di una vita che odorava di erba tagliata e di neve fresca.
I giri di valzer di una bambina felice circondata da amore.
L'altra era la casa della Elena adulta. Era la casa di cui mi sono innamorata a prima vista e che con mille sacrifici ho deciso di comprare. Era la casa del sentirsi grande, della soddisfazione di riuscire a farcela da sola, della gioia di arredarla e vederla diventare sempre più mia, delle piante, dei libri, dello sfrigolio di soffritto, dei calici per il vino rosso, della fatica e della passione nel renderla il luogo perfetto dove voler tornare la sera per sentire il suo odore.
I giri di valzer di una donna orgogliosa di chi stava diventando.


Quello che lo svuotarle e immaginarmele riempite di vite altrui mi ha generato è stata subito gelosia. Si, ero gelosa all'idea che qualcun'altro potesse sentire casa quel posto dove ho rifugiato i miei segreti e momenti più intimi, ero gelosa che quelle mura impregnate dei miei ricordi fossero ritinteggiare da nuove risate e da nuove lacrime. Avevo paura di dimenticarmi di quelle risate e di quelle lacrime, avevo paura di dimenticarmi di come quelle case mi avevano fatto sentire e di cosa profumavano le persone che con me avevano ballato quei valzer.
Poi la gelosia ha lasciato il posto alla malinconia. Sentivo un vuoto enorme dentro, mi mancava quell'odore e il rumore inconfondibile di quelle chiavi. Ho pianto per quel vuoto cercando di colmarlo abbracciando oggetti che odoravano di quelle case e forse con loro ho anche provato a ballare ma senza musica.

Poi ad un certo punto ho capito qualcosa.
Ho capito che quei giri di valzer non possono e non devono fermarsi mai e che ogni casa e ogni persona deve e merita di ballare passi diversi e con diversi ballerini. Quando succede che quei giri di valzer ci conducono altrove non possiamo fare altro che assecondarli perché sarà proprio lì dove ci conducono che sperimenteremo nuovi passi e incontreremo nuovi ballerini con cui potremo ballare ancora e ancora in nuove case con nuovi odori.
Le case non hanno gambe per ballare ma noi si e forse il regalo più bello che possiamo fare a quelle case che tanto abbiamo amato è di lasciarle andare quando è giusto dandogli e dandoci la possibilità di ballare sulla scia di nuovi odori in dei nuovi e bellissimi giri di valzer.

Buon ballo casette mie.













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